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La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Vino Cotto ha l’obiettivo di contribuire, attraverso il vino cotto e insieme ad altri fattori economici di sviluppo, a sostenere ed integrare le economie delle aree interne della provincia di Chieti.

Abbiamo intervistato Camillo Conti, uno dei promotori e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto.

Camillo Conti

Conosciamo Camillo Conti, referente e coordinatore del progetto.
Architetto originario di Roccamontepiano, dal 2015 è il presidente dell’Associazione Produttori di Vino Cotto d’Abruzzo, associazione attiva da quasi 15 anni nella valorizzazione e promozione del vino cotto.

Come e perché nasce il progetto?
Nasce per iniziativa dell’Associazione del Vino Cotto, della Cooperativa di produzione e trasformazione del vino cotto, di alcuni produttori del territorio e del Comune di Roccamontepiano. L’esigenza, dopo diversi anni di lavoro nell’ambito della valorizzazione del vino cotto è di allargare il raggio d’azione, dal punto di vista produttivo, commerciale e promozionale, alla collettività, coinvolgendo più realtà presenti nell’entroterra chietino. Vogliamo che la comunità locale sia partecipe, coinvolta, e che questo prodotto concorra a sostenere le piccole economie delle aree interne della provincia di Chieti.

Il vino cotto, quali sono le sue peculiarità?
Il valore storico, culturale ed economico del vino cotto è testimoniato dalle tante donazioni, divisioni e successioni di cui è stato oggetto in passato: ogni botte era considerata un bene di valore, degno persino di essere portato in dote. La tradizione del vino cotto viene, da generazioni, tramandata di padre in figlio, ed è legata alla cultura contadina.
E’ un prodotto antichissimo, conosciuto sin dal tempo dei Romani. In Abruzzo è diffuso nel teramano e soprattutto nell’area collinare del chietino. Secco o dolce con un retrogusto sapido, si ottiene con un processo lungo e complesso: il mosto viene concentrato a fuoco vivo, poi “rabboccato”, fatto fermentare e lasciato invecchiare nelle botti.
Nella sua produzione è impiegata sia uva a bacca bianca (Trebbiano, Cococciola, Montonico) che rossa, solitamente il Montepulciano d’Abruzzo.
Il vino cotto è abitualmente consumato a fine pasto, e negli ultimi anni è sempre più utilizzato in cucina. Nella provincia di Chieti, il borgo di Roccamontepiano vanta una tradizione secolare nella  sua produzione che prevede un processo laborioso con una cottura lunga, a fuoco lento. Il prodotto finale risulta così essere più corposo. In passato, realizzare il vino cotto era un espediente per utilizzare anche l’uva proveniente da un raccolto o un’annata poco fortunata: il rischio era quello di ottenere un prodotto “difettoso”. Invece attraverso la cottura si andava a “rafforzare” il vino, evitando così che si rovinasse.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Tra gli obiettivi c’è quello di integrare, attraverso il vino cotto, le economie locali dell’entroterra chietino e completare un percorso già intrapreso da qualche anno ovvero il “perfezionamento” del prodotto a tutto tondo. Negli ultimi anni con la costituzione della Cooperativa è stata avviata un’attività d’impresa per la produzione di vino cotto, mosto cotto e derivati. Se prima la realizzazione era relegata prettamente all’ambito familiare e privato, attraverso la Cooperativa si è costituita un’impresa collettiva.
Ci siamo dotati di un disciplinare, abbiamo affinato la tecnica produttiva e ci siamo muniti di una barricaia: stiamo “accantonando” il  vino che viene commercializzato solo e non prima di due anni dalla produzione e che può arrivare fino a 30/40 anni di affinamento.
Vogliamo rafforzare un mercato di nicchia che attualmente è ancora troppo fragile e con questo progetto intendiamo implementare e strutturare una rete commerciale, sia attraverso le piccole botteghe presenti sul territorio, che attraverso una piattaforma e-commerce per dare la possibilità anche a chi vive fuori dai confini regionali di acquistare il prodotto.
Inoltre dobbiamo continuare nel processo di promozione del vino cotto, nel suo racconto, e sensibilizzare ulteriormente i ristoratori locali, fare in modo che venga proposto, per accompagnare il dolce o essere utilizzato nella preparazione dei piatti.
Altro obiettivo è quello di organizzare meglio l’accoglienza turistica, le degustazioni. Attualmente l’Associazione fa delle attività in questo senso, ma sono sporadiche e poco strutturate.

Quali sfide?
Riuscire a far diventare questo prodotto un “marcatore” distintivo del nostro territorio e tenere insieme nel tempo il gruppo, questo vale per tutte le iniziative dove sono coinvolti più portatori d’interesse.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
La Cooperativa di produzione e trasformazione del vino cotto, alcune aziende agricole locali, l’Associazione dei produttori di vino cotto e il Comune di Roccamontepiano. Si tratta del primo nucleo che ha costituito la comunità e che attualmente sta implementando il progetto. 

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?
Stiamo cercando di coinvolgere altri portatori d’interesse, di fare rete con i diversi operatori economici presenti sul territorio di riferimento e pianificare le attività.
Recentemente, a Roccamontepiano, abbiamo anche individuato una vecchia casa di terra cruda che vogliamo prendere in gestione così da utilizzarla come punto di degustazione e bottaia.
Queste antiche costruzioni hanno mura ben spesse e una tenuta termica importante. Inoltre concorrono a raccontare il territorio e quella che è la sua tradizione “costruttiva”.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente?
Speriamo di incrementare e rafforzare la rete dei piccoli produttori,  coinvolgere nella valorizzazione del prodotto ristoratori e piccole botteghe alimentari, partire con l’organizzazione di una rete commerciale, implementare una piattaforma on line dedicata all’e-commerce. Quest’ultima sarà importante anche nel racconto del vino cotto e del suo territorio di riferimento, per prenotare una visita o una degustazione. In termini di comunicazione, ci piacerebbe anche procedere con un restyling grafico, un nuovo “packaging”, etichette e logo. Inoltre andremo ad ampliare la gamma prodotti: attualmente insieme al vino cotto, è presente anche il mosto cotto. A questi aggiungeremo la confettura d’uva, un altro prodotto tradizionale.

L’articolo Vino cotto, quali sfide? Intervista a Camillo Conti è tratto dal sito della Comunità di Progetto Vino Cotto.

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Fallo Old School ha l’obiettivo di creare un’economia locale attraverso la rifunzionalizzazione dei vecchi ruderi presenti nel borgo di Fallo, così da evitare lo spopolamento e dare nuova linfa vitale al paese. 

Abbiamo intervistato Gianluca Castracane, referente della comunità e Minna e Micco Lymi, i promotori del progetto.

Gianluca Castracane, referente e coordinatore del progetto.
Vicesindaco del Comune di Fallo è impegnato nell’amministrazione locale da quasi 16 anni.

Minna e Micco Lymi

Minna e Micco Lymi, promotori della Comunità.
Coppia di finlandesi che qualche anno fa ha deciso di comprare casa a Fallo e trasferirsi in Italia. Minna è una giornalista e blogger che ha lavorato come caporedattore in uno dei più importanti quotidiani finlandesi. Micco, ingegnere e chef, prima di trasferirsi in Italia era caposquadra e progettista in una cartiera. Negli ultimi due anni si è dedicato alla ristrutturazione dei ruderi e alla lavorazione della pietra.

Come e perché nasce il progetto?
GIANLUCA
Nasce dall’incontro con Minna e Micco, una coppia di finlandesi che qualche anno fa ha deciso di trasferirsi qui a Fallo. Hanno rilevato diversi ruderi e avviato una ristrutturazione con un artigiano locale, Settimio, che non si è occupato soltanto dei lavori, ma ha anche insegnato a Minna e Micco come intervenire su queste antiche costruzioni di pietra. Per loro è cominciata così una vera e propria avventura. Tanto che hanno aperto un blog, Piccolo Salvo, per raccontare la loro esperienza; una piattaforma che ha suscitato molto interesse in Finlandia. Dai feedback positivi e dall’intuizione che imparare a ristrutturare tradizionalmente un vecchio rudere può tornare utile a tanti altri stranieri che acquistano casa in Abruzzo,  Minna e Micco  hanno avuto l’idea del progetto Fallo Old School e ci hanno coinvolto nell’iniziativa; è un’occasione per valorizzare il nostro borgo, avviare una piccola economia in un paesino che conta poco più di 100 abitanti, conservare e tramandare antichi mestieri e lavorazioni che rischiano di scomparire .
MINNA E MICCO         
Nella primavera del 2017 ci siamo trasferiti a Fallo, in questo piccolo borgo abruzzese. Avevamo acquistato dei ruderi nel centro storico. Volevamo fare un lavoro di ristrutturazione non troppo invasivo, cercando di conservare quanto più possibile l’autenticità di queste antiche abitazioni. Così l’amministrazione comunale ci ha fatto conoscere il signor Settimio, un muratore di Civitaluparella, specializzato nella lavorazione delle case in pietra. Settimio ci ha dato una mano con i lavori, ma soprattutto ci ha mostrato e insegnato come ristrutturare questi ruderi.
Così abbiamo pensato che un’esperienza di questo tipo poteva essere utile ai tanti stranieri che acquistano una casa in Abruzzo. Con Fallo Old School ci piacerebbe mettere su una scuola dove poter imparare a ristrutturare vecchi ruderi in maniera sostenibile. L’idea è quella di apprendere l’arte da artigiani come Settimio, preservare e tramandare una lavorazione che in questi piccoli borghi rischia di scomparire.
Le vecchie case di Fallo possono ospitare questa scuola, e fungere allo stesso tempo anche da albergo diffuso con una sorta di “cohousing”, un luogo dove apprendere insieme agli artigiani locali la lavorazione della pietra, ma non solo. A questa attività, andrebbero ad affiancarsi la lavorazione del legno, il recupero degli antichi orti presenti nel borgo così da avviare una agricoltura sostenibile. Inoltre sarebbe bello esplorare anche tutto l’aspetto enogastronomico, quello della cucina locale attraverso delle cooking class, sempre con la complicità di chi vive sul territorio.

Quali sono le attrattive di Fallo?
GIANLUCA
Il paese ha conservato intatto il suo nucleo originario. Rispetto ad altri borghi presenti nelle vicinanze non è stato distrutto nell’ultimo conflitto mondiale. Sorge in una posizione strategica, perché è a circa trenta minuti di macchina dalla montagna e dal mare. 
MINNA E MICCO
Il borgo è molto caratteristico, silenzioso, tranquillo. Vanta una posizione strategica, a metà strada tra mare (Adriatico) e montagna (Maiella). Nei dintorni il paesaggio è molto suggestivo e si può godere di una natura incontaminata.
Gli abitanti sono molto gentili e socievoli, ci siamo integrati bene sin dall’inizio. I ritmi sono lenti e il paese conserva ancora importanti tradizioni artigiane, culturali ed enogastronomiche.
Inoltre Fallo è anche un borgo “vivace” e internazionale, perché ci sono diversi stranieri che hanno acquistato casa negli ultimi anni, che tornano per alcuni mesi o per buona parte dell’anno.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
GIANLUCA
Rivitalizzare il paese, portare gente, cercare di avere turisti tutto l’anno. Ricreare un tessuto sociale e favorire una piccola economia locale, quindi scongiurare un ulteriore spopolamento. Vogliamo puntare sul turismo sostenibile, evitare che il patrimonio e le tradizioni presenti cadano nell’oblio.       
MINNA E MICCO
Con la Fallo Old School l’obiettivo è quello di creare occupazione, rianimare il borgo, mantenere in vita i saperi artigiani e la tradizione, valorizzare ruderi e parti del paese ormai abbandonate e in disuso, dare la possibilità di rimanere o trasferirsi qui.

Qual è il turismo di riferimento?
GIANLUCA
Il turismo esperienziale e sostenibile. Il target è straniero, ma non esclusivamente. Pensiamo di intercettare i turisti attraverso il blog di Minna, e con una piattaforma digitale ad hoc che andremo a creare. Possiamo contare anche sul sostegno promozionale di chi ha già comprato casa e vive qui; sono diverse le presenze, come quella dell’attore americano Michael Madsen (Kill Bill), un regista canadese, alcuni produttori cinematografici. Potrebbero aiutarci, in questo senso, anche alcune agenzie nel settore immobiliare per gli stranieri. Inoltre negli anni abbiamo costruito un rapporto solido e speciale con alcune personalità del Sudafrica.
MINNA E MICCO
Stranieri che vivono in Abruzzo e altrove in Italia, turisti che hanno già visto Roma e hanno voglia di scoprire e fare qualcosa di nuovo, italiani, soprattutto quelli che vivono nelle grandi città del nord e vogliono staccare ed evadere dalla routine cittadina, chi vuole avere un’esperienza autentica in un piccolo borgo, i lettori del nostro blog, istituzioni educative, finlandesi e non, appassionati di artigianato, lavorazione della pietra, di enogastronomia.

Quali sfide?
GIANLUCA
Far rivivere questo piccolo borgo di poco più di 100 abitanti, renderlo appetibile turisticamente e “popolato” non solo durante il periodo estivo.
MINNA E MICCO
Potrebbe essere quella rappresentata dal Covid-19 che tuttavia può, per certi versi, essere anche un’opportunità visto che stiamo parlando di una destinazione “periferica”, fuori dalle grandi e affollate mete turistiche.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
GIANLUCA
Aderiscono alla comunità il Comune di Fallo, Minna e Mikko, un piccolo agricoltore locale, un’associazione culturale e il muratore Settimio. Stiamo raccogliendo adesioni anche da altri stranieri che hanno comprato casa qui a Fallo. Probabilmente aderirà anche un falegname locale che vuole mettere a disposizione il suo studio e tramandare un mestiere artigiano che ormai non viene più praticato.
MINNA E MICCO
Attualmente sono coinvolti solo pochi abitanti del villaggio, ma siamo certi che con l’avanzare del progetto riceveremo molte adesioni. Vogliamo anche coinvolgere persone provenienti da paesi vicini e finlandesi che vivono in Italia.

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando e andrete a implementare?
GIANLUCA
Abbiamo concluso l’analisi di contesto e stiamo mettendo a punto l’analisi Swot. Quindi andremo ad implementare una strategia. Il Comune ha voglia di investire nella Fallo Old School e in questa fase stiamo cercando di coinvolgere tutti i possibili portatori d’interesse presenti sul territorio.
MINNA E MICCO         
Abbiamo cominciato a prendere i primi contatti, in Finlandia, con le persone che potrebbero essere interessate ai corsi della Fallo Old School. Inoltre stiamo cercando di coinvolgere nell’iniziativa anche portatori d’interesse finlandesi, come la Leader Swan Route che opera nella formazione .
In questa fase stiamo iniziando a tradurre il nostro blog in inglese, prendendo i contatti con gli insegnanti e abbozzando una programmazione per i primi corsi. A breve metteremo a punto una strategia e un piano di comunicazione.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente?
GIANLUCA
Entro un anno speriamo di partire, sono ottimista; mi piace pensare che avremo già i primi corsi attivi. Anche la piattaforma web con un servizio prenotazione sarà online. Mi auguro che tutta la comunicazione digitale, inclusa quella social, parta quanto prima, così da far conoscere la Fallo Old School.
MINNA E MICCO
Concludere la ristrutturazione degli edifici che saranno coinvolti nel progetto, essere partiti con tutta la comunicazione digitale, incluso il portale per le prenotazioni e attivare i primi corsi.
Inoltre in autunno cominceremo a documentare il progetto con storie, video e immagini. C’è anche la possibilità di un reality televisivo con un’emittente finlandese.

L’articolo Fallo Old School, quali sfide? Intervista a Minna e Micco Lymi e a Gianluca Castracane è tratto dal sito della Comunità di Progetto Fallo Old School.

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Carciofo di Cupello ha l’obiettivo di migliorare il posizionamento del carciofo sul mercato attraverso il rafforzamento della politica di differenziazione qualitativa, basata sull’identità territoriale del prodotto.

Abbiamo intervistato Antonio D’Adamo, uno dei promotori e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto Carciofo di Cupello.

Antonio D'Adamo

Conosciamo Antonio D’Adamo, referente e coordinatore del progetto.
Agronomo e docente di chimica, dopo la laurea in Agraria comincia una proficua collaborazione, in qualità di consulente tecnico, con la Cooperativa San Rocco di Cupello. Negli ultimi dieci anni ha seguito diversi progetti incentrati soprattutto sulla valorizzazione del carciofo.

Come e perché nasce il progetto?
Nasce dall’esigenza di “caratterizzare” il carciofo di Cupello, conosciuto anche come “mazzaferrata”, ovvero contraddistinguerlo qualitativamente, quindi rafforzare la sua identità territoriale, così da migliorare il suo posizionamento sul mercato. Negli ultimi anni questo prodotto ha avuto una forte concorrenza sleale con carciofi denominati “di Cupello”, ma provenienti da altri territori. Questo spesso trae in inganno il consumatore a scapito dei produttori e della Cooperativa stessa. Quindi con la Cooperativa di Cupello abbiamo deciso di costituire, coinvolgendo anche l’amministrazione locale, una comunità di prodotto che ci permetta di lavorare sulla caratterizzazione del carciofo attraverso la produzione di materiale utile a certificare lo stretto legame esistente con il territorio di riferimento.

Il carciofo di Cupello, quali sono le sue peculiarità?
È un ecotipo locale che deriva dal Campagnano, varietà di carciofo Romano coltivato in terreni profondi, freschi e ben drenati; raggiunge la maturazione ideale tra la fine di marzo e aprile.
Oltre al capolino principale, le piante, intorno ai mesi di aprile e maggio, producono i carciofini, capolini più piccoli utilizzati nei sott’olio.
Il carciofo si presenta verde di fondo con sfumature più o meno intense di violetto. E’ inerme in quanto privo di spine, panciuto con il tipico foro all’apice, e ha la forma leggermente più allungata del romanesco.
Al palato ha una consistenza tenera e carnosa,  un gusto deciso e caratteristico, leggermente amaro con un retrogusto quasi dolciastro.
Sul territorio si hanno diverse testimonianze della presenza del carciofo (selvatico) sin dall’antichità. Questa varietà, conosciuta come “mazzaferrata”, perché la sua forma ricorda l’antica arma medievale, è coltivata nell’area di Cupello dagli inizi del ‘900.
Originario del vicino Lazio, si è diffuso localmente attraverso gli scambi commerciali e inizialmente era presente soprattutto sulla fascia costiera. Ha trovato il suo habitat ideale nell’entroterra vastese, e in particolare a Cupello che ha vissuto un vero e proprio “boom” del carciofo nell’immediato dopoguerra. Dapprima piccola coltivazione “di contorno” presente negli orti delle famiglie locali, negli anni ’50 diviene la coltura preponderante, in quanto redditizia.
Negli anni ’60 gli agricoltori di Cupello si riuniscono in una Cooperativa, che oggi conta oltre 100 soci, con lo scopo di commercializzare il prodotto e allargarne i confini.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Tutelare e valorizzare il carciofo “mazzaferrata” ovvero renderlo univoco con il territorio di riferimento.
Questo significa produrre del materiale idoneo che ci permetta di certificare il legame territoriale, implementare la documentazione necessaria per completare l’iter burocratico indispensabile per ottenere una I.G.P. Carciofo di Cupello.
Per fare questo dobbiamo interpellare e coinvolgere un centro di ricerca che attraverso un piano pluriennale dovrà individuare dei parametri costanti e ripetibili nel tempo (dal punto di vista nutraceutico, chimico, a livello comportamentale a confronto con diversi suoli e varietà) utili per caratterizzare il carciofo.

Quali sfide?
Trovare questi parametri costanti e ripetibili nel tempo, indispensabili per identificare il prodotto con il territorio e per ottenere una certificazione come l’I.G.P. che tuteli il carciofo di Cupello.
E’ difficile in quanto si tratta di un prodotto condizionato da tante variabili, come il fattore ambiente che gioca un ruolo importante. Pensiamo per esempio a quanto possa incidere la piovosità nell’arco di una stagione, a quanto possa influenzare l’aspetto del carciofo, la sua composizione chimica e nutrizionale, organolettica e così via.
Quindi stiamo cercando di intervenire dove possiamo, sulla tecnica colturale, cercando di renderla simile per tutti i soci della cooperativa, perché è difficile controllare altre variabili come il clima.
La tradizione che lega il carciofo al nostro territorio è inequivocabile, così come il suo racconto, ma per ottenere una certificazione che identifichi e tuteli questo prodotto, rispetto a “imitazioni” o comunque a chi utilizza impropriamente la denominazione “carciofo di Cupello”, abbiamo bisogno di dati attendibili, la tradizione non basta.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
Alla comunità hanno aderito i soci della Cooperativa San Rocco,  il consiglio d’amministrazione e l’amministrazione comunale di Cupello.

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?
Attualmente stiamo raccogliendo le ultime adesioni e procedendo con una serie di consultazioni incentrate sull’analisi di contesto e SWOT, essenziali per mettere a punto piano di lavoro e strategia. Inoltre istiamo cercando di individuare un ente di ricerca col quale stipulare una convenzione e una collaborazione pluriennale.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente?
Speriamo di partire con l’ente di ricerca quanto prima. Trattandosi di un lavoro pluriennale, escludiamo di poter avere una certificazione per il prossimo anno. Il percorso è lungo, non solo in termini di ricerca e analisi, ma anche riguardo l’iter burocratico.
L’indagine sarà ripetuta con le stesse modalità in più annualità, in quanto il prodotto oggetto di analisi è stagionale. Proprio per i tempi, su alcune attività relative il recupero di alcuni dati, siamo già partiti. E’ il caso della caratterizzazione morfologica del carciofo, ma  questi “numeri” saranno implementati con quelli che arriveranno dal laboratorio.
Ad ogni modo tra un anno i primi dati cominceranno ad emergere e sicuramente avremo già un sentore di quello che sarà, in termini di positività o negatività, nel processo di caratterizzazione del carciofo di Cupello.

L’articolo Carciofo di Cupello, quali sfide? Intervista ad Antonio D’Adamo è tratto dal sito della Comunità di Progetto Carciofo di Cupello.

[Crediti | Foto della Comunità di Progetto Carciofo di Cupello]

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Terre Carricine ha come obiettivo la promozione e la valorizzazione turistica integrata dei Comuni di Altino, Casoli, Gessopalena, Montenerodomo, Pennadomo, Roccascalegna e Torricella Peligna. La Comunità si propone di potenziare l’offerta turistica e incrementare le presenze nel territorio di riferimento.

Abbiamo intervistato Paolo Granà, uno dei promotori e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto Terre Carricine.

Paolo Granà

Conosciamo Paolo Granà, referente e coordinatore del progetto.
Accompagnatore di media montagna, con un passato da geometra, si occupa di escursionismo, turismo lento e sostenibile e di educazione ambientale. Dopo il corso regionale nel 2016 e l’iscrizione al collegio delle guide alpine d’Abruzzo, ha fatto della sua passione un lavoro.     
Come educatore ambientale e guida collabora con diverse realtà presenti sul territorio: Camminare in Abruzzo, il Grande Faggio, il Parco Naturale Majella e Majella Travel.      
Si occupa anche della realizzazione e manutenzione dei sentieri, e un paio di anni fa ha preso parte alla progettazione del Sentiero dei Carricini.

Come e perché nasce il progetto?
Nasce dalla volontà e dall’esigenza dei sindaci di questo territorio di unirsi sotto un unico brand per promuovere turisticamente l’area di riferimento e le sue attrattive. Il nome Terre dei Carricini prende spunto dalla popolazione italica che viveva in questi luoghi: era una delle quattro tribù che formavano il gruppo etnico sannitico. I Carricini vivevano nell’area compresa tra il fiume Sangro e le pendici della Maiella.

Qual è il territorio di riferimento e quali sono le sue attrattive
Coincide proprio con quello dei Carricini e include i borghi di Altino, Casoli, Gessopalena, Montenerodomo, Pennadomo, Roccascalegna e Torricella Peligna. Un territorio ben circoscritto che nel suo scenario naturalistico contempla la Maiella, con un paesaggio collinare e pedemontano che ben si presta all’outdoor. L’area di Pennadomo mette in bella mostra gole e affioramenti rocciosi unici dove poter praticare anche l’arrampicata. Nella vicina Montenerodomo c’è Juvanum con un’importante testimonianza archeologica. Spostandosi a Gessopalena, con le case addossate le une sulle altre lungo il profilo della roccia, scavata e modellata, il borgo antico sfoggia con il gesso il suo eccezionale valore culturale. A Torricella Peligna è la letteratura che domina la scena con il John Fante Festival, l’evento letterario dedicato allo scrittore italoamericano John Fante. A Roccascalegna, erto su uno sperone roccioso, il protagonista indiscusso è il castello medievale. Poco distante il borgo di Altino, patria del peperone dolce, presidio Slow Food, al quale ogni anno è dedicato un festival. A una manciata di chilometri Casoli, città dell’olio, dove svetta sul paesaggio circostante il castello ducale,  teatro di importanti avvenimenti. In una delle sue stanze, durante l’ultimo conflitto mondiale, si mise a punto la strategia del gruppo partigiano della Brigata Majella. Il nome del castello è legato anche a quello di Gabriele D’Annunzio, suo assiduo frequentatore.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Creare un sistema che gestisca e coordini tutto l’assetto turistico e si promuova sotto un unico brand. Ogni singolo Comune preso singolarmente non ha la forza di tutto il territorio di riferimento nel suo insieme. Unirsi e fare parte di un’unica comunità permette anche di coinvolgere i cittadini, renderli partecipi e consapevoli delle attrattive presenti, delle opportunità. Tra queste sicuramente lo sviluppo dell’economia locale attraverso il turismo. Parliamo di un’area che negli ultimi decenni ha subito un progressivo e inesorabile spopolamento. Questo progetto è anche l’occasione per creare occupazione nel settore. Altro obiettivo è quello di sfruttare al massimo il potenziale di questo territorio, le sue risorse, e migliorare l’accoglienza turistica. Per farlo vogliamo creare una piattaforma web di destinazione, non una semplice vetrina statica, ma un portale dinamico, interattivo, in continuo aggiornamento, dove sia possibile prendere informazioni, ma anche effettuare prenotazioni.

Qual è il turismo di riferimento?
Quello esperienziale, lento, e sostenibile,  incentrato sui cammini a piedi, in bici o a cavallo. Il territorio permette di godere appieno della natura. L’outdoor ha un peso importante, sono già presenti diversi sentieri e pareti per praticare l’arrampicata.
Insieme alla vacanza attiva c’è spazio per la cultura, gli eventi, l’enogastronomia.
Come target guardiamo ai giovani, agli appassionati di outdoor e alle famiglie. Al momento pensiamo a un pubblico italiano, ma in futuro punteremo anche agli stranieri.
Per quest’anno, vista anche la situazione Covid-19 ci aspettiamo un turismo prettamente di prossimità.

Quali sfide?
Creare un’identità, un unico brand per tutto il territorio, per i cittadini e i protagonisti del settore turistico. Per arrivare a questo è importante riuscire a far dialogare i sette Comuni che hanno aderito alla Comunità, mettere a punto una collaborazione proficua, un team di lavoro con un’unica strategia, una squadra che abbia come obiettivo lo sviluppo turistico delle Terre Carricine. Nella sfida ci sono anche i cittadini, per questo è importante sensibilizzarli, in quanto soggetti cruciali nell’accoglienza turistica.
Tra le altre sfide far aumentare la visibilità del territorio a livello regionale e nazionale e far crescere le presenze, non solo nell’alta stagione.
Si tratta di una bella sfida, soprattutto ai tempi del Covid-19.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
Attualmente hanno aderito sette Comuni (Altino, Casoli, Gessopalena, Montenerodomo, Pennadomo, Roccascalegna e Torricella Peligna), diverse Pro Loco, alcune associazioni di promozione turistica, imprenditori agricoli, albergatori e ristoratori.

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?
In questa fase stiamo raccogliendo adesioni e cercando di coinvolgere tutti i portatori d’interesse presenti sul territorio. Stiamo lavorando all’analisi di contesto così da poter implementare quanto prima una strategia e un piano di lavoro.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente sul territorio?
Creare il brand “Terre Carricine” e implementare la piattaforma di destinazione turistica.
E’ importante che da qui a un anno siano presenti tutta una serie di servizi, così che il turista possa fruire al meglio del territorio. E’ fondamentale mettere chi arriva nella condizione di poter vivere un’esperienza nelle Terre Carricine. Inoltre sarebbe bello valorizzare molti itinerari escursionistici già presenti, tra questi il Sentiero dei Carricini.
Contiamo anche di organizzare un educational tour per tour operator, invitarli sul territorio per “testare” una serie di esperienze che andremo a proporre. Tra le altre cose, auspichiamo la calendarizzazione di tutti gli eventi. Spesso sono in concomitanza nello stesso periodo e rischiano di disperdere il pubblico.
Infine riguardo l’incremento delle presenze, per il primo anno, è difficile pensare ai grandi numeri, in quanto ci toccherà fare i conti con il Covid-19.

L’articolo Terre Carricine, quali sfide? Intervista a Paolo Granà è tratto dal sito della Comunità di Progetto Terre Carricine.

[Crediti | Foto della Comunità di Progetto Terre Carricine]

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Oli Monovarietali ha l’obiettivo di  valorizzare gli oli monovarietali della provincia di Chieti. In particolare sensibilizzare alla conoscenza degli oli da varietà autoctone attraverso attività specifiche di caratterizzazione, protezione e promozione.

Abbiamo intervistato Carlo Verna, produttore di olio e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto Oli Monovarietali della provincia di Chieti.

Carlo Verna

Conosciamo Carlo Verna, referente e coordinatore del progetto.
Dopo gli studi in ragioneria decide, qualche anno fa, insieme ai suoi fratelli di rilevare l’azienda di famiglia, Frantoio Verna a Guardiagrele, e fare di quella che inizialmente era una passione un lavoro. Così, alla terza generazione, Carlo riprende quel percorso costruito dal nonno, e rinnova con un “restyling” generale l’azienda, a cominciare dalle attrezzature. Sostituisce il vecchio impianto di produzione tradizionale con uno continuo di ultima generazione, mentre nell’uliveto investe in un sistema di potatura innovativa. Inserisce nuove referenze nella gamma prodotti come l’olio DOP e l’olio bio, mentre sul fronte comunicazione arriva un nuovo logo e rifà il look a packaging ed etichetta. Ma soprattutto, in questa nuova avventura aziendale, Carlo e la sua famiglia decidono di puntare sull’olio monovarietale, quello di Intosso.

Come e perché nasce il progetto Oli Monovarietali?
Nasce dalla volontà di diversi produttori della provincia di Chieti di valorizzare gli oli monovarietali ottenuti da cultivar locali che sono l’espressione più autentica, nonché “carta d’identità”, del nostro territorio. I monovarietali esprimono appieno la territorialità attraverso la loro timbrica. Tuttavia si tratta di oli poco conosciuti persino ai residenti e che attualmente rappresentano solo un mercato di nicchia. Così lo scorso febbraio abbiamo dato vita a questa comunità con la speranza di sensibilizzare il consumatore finale, ma anche gli altri produttori.   
Lo spunto è arrivato da un precedente progetto di valorizzazione focalizzato sulla cultivar di Intosso. Abbiamo deciso di replicare quell’iniziativa coinvolgendo le principali cultivar autoctone del chietino.

Quali sono queste cultivar? 
Le cultivar interessate sono la Gentile di Chieti, diffusa su tutto il territorio provinciale, l’Intosso e la Crognalegno nelle campagne del casolano, la Cucco nel frentano e nel teatino, il Nebbio nel vastese, e gli Olivastri di Roccascalegna,  Bucchianico e Frentano nel lancianese. 
Si tratta di varietà autoctone contraddistinte da caratteristiche e peculiarità uniche, che danno vita a monovarietali dotati di spiccate qualità organolettiche, cultivar che “raccontano” il nostro territorio.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Incentivare la conoscenza dei monovarietali e far crescere il mercato di riferimento.
È importante partire dai produttori, incoraggiare la coltivazione delle cultivar interessate e sensibilizzare alla produzione di prodotti di qualità. Quest’aspetto è fondamentale, in quanto fare un monovarietale non significa fare automaticamente un prodotto migliore rispetto al classico blend. Un olio monovarietale è un prodotto identitario, tuttavia per portare benefici al territorio, al produttore e alla comunità, deve essere realizzato seguendo determinati criteri qualitativi.
Tutto comincia con uno scrupoloso lavoro nell’uliveto, la potatura della pianta, il processo di raccolta delle olive, la trasformazione, la conservazione e così via.
Per concorrere alla reputazione degli oli monovarietali sono necessari prodotti eccellenti.

Perché sono ancora pochi i produttori che puntano sui monovarietali?
Il concetto di olio monovarietale è moderno e sicuramente produrre un olio di qualità 100% Intosso o Cucco può essere più difficile e dispendioso; il prezzo finale, di conseguenza, sarà più alto.
Per questo è necessario sensibilizzare il pubblico, far conoscere questi prodotti anche ai ristoratori, far crescere quello che per ora è solo un mercato di nicchia o crearlo completamente da zero.
Per fare tutto questo dobbiamo partire da un prodotto di qualità.
Pensiamo all’Intosso, storicamente consumata come oliva da mensa, negli ultimi anni si è rivelata perfetta per la trasformazione in olio monovarietale e ci si è accorti della qualità di questa cultivar solo quando si è cominciato a prestare attenzione alla sua lavorazione.

Perché scegliere un monovarietale?
Un monovarietale di qualità è l’essenza di un determinato territorio.      
Ha caratteristiche organolettiche uniche e peculiari, quindi gioca un ruolo importante negli abbinamenti in cucina, nell’esaltare e valorizzare piatti e preparazioni.
È un prodotto unico.

Quali sfide?
Far capire  quello che è il valore aggiunto di un monovarietale rispetto al classico blend e riuscire a fare rete tra i produttori, cercando di sensibilizzarli al riguardo. Quella che abbiamo davanti è un’ottima opportunità per fare sistema e collaborare.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
Attualmente hanno aderito alla comunità sette produttori e un esperto di settore, Bruno Scaglione. Andremo a coinvolgere, insieme ad altri produttori, anche associazioni come Slow Food e altri portatori d’interesse del settore.  

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?
Partiremo a breve con un censimento dei produttori di oli monovarietali da coinvolgere nella comunità e nel progetto. Stiamo già lavorando all’analisi di contesto con il nucleo base, raccogliendo le prime adesioni, impostando le linee guida e la strategia di lavoro.
Attualmente dobbiamo individuare quelle che sono le migliori azioni da implementare, le più efficaci per la nostra comunità.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente?
Coinvolgere più produttori possibili nell’iniziativa, impostare un piano di lavoro comune e magari una sorta di “disciplinare” interno. Poi ovviamente speriamo di partire con le prime attività di sensibilizzazione ai monovarietali.    
Queste saranno implementate attraverso iniziative presso i ristoranti per far conoscere i prodotti,  coinvolgere i clienti finali in degustazioni dedicate, ma anche gli stessi ristoratori. Purtroppo sono ancora pochi i ristoranti che sul territorio valorizzano l’olio extravergine, soprattutto monovarietale. Quindi ci sarà un bel lavoro da fare su questo fronte. Un’evoluzione di quest’attività presso i ristoranti potrebbe essere quella di una degustazione in azienda con la visita agli uliveti, far conoscere le diverse piante e come queste contraddistinguono e marcano un paesaggio.
Si tratta di azioni che saranno “supportate” da materiale informativo, magari una mini guida ai monovarietali della provincia di Chieti, alle caratteristiche organolettiche, gli abbinamenti a tavola, e così via.

L’articolo Oli Monovarietali, quali sfide? Intervista a Carlo Verna è tratto dal sito della Comunità di Progetto Oli Monovarietali.

[Crediti | Foto della Comunità di Progetto Oli Monovarietali]

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Cucina Popolare Frentana ha l’obiettivo di valorizzare la Cucina Popolare Frentana e recuperare le tradizioni gastronomiche dell’entroterra della provincia di Chieti. 

Abbiamo intervistato Raffaele Cavallo, promotore e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto Cucina Popolare Frentana.

Raffaele Cavallo

Conosciamo Raffaele Cavallo, referente e coordinatore del progetto.
Appassionato di cucina e agricoltura, nel 1999 insieme ad alcuni amici fonda la Condotta di Slow Food Lanciano. È tra i promotori di iniziative come Cala Lenta, evento che ha fatto scoprire la costa dei trabocchi e la ristorazione a bordo di queste antiche “macchine da pesca”.
Con Slow Food ha dato vita ai primi Presìdi regionali e nazionali, a cominciare da quello della Ventricina del Vastese nel 2000. Negli anni si è occupato di diversi progetti di valorizzazione in ambito enogastronomico e territoriale. Per Slow Food è stato responsabile della condotta di Lanciano, presidente regionale, consigliere nazionale, segretario regionale e attualmente è membro del consiglio nazionale dei garanti.

Come e perché nasce il progetto?
Quello che ci ha spinto a intraprendere questo percorso è l’esigenza di preservare e tramandare un patrimonio enogastronomico e culturale unico, quello della cucina popolare frentana che affonda le sue radici nella civiltà agropastorale dell’entroterra chietino, un lembo di terra che dalla Maiella orientale si protrae verso il mare.
La cucina popolare frentana è cultura, identità e legame con il territorio. Si basa sulla semplicità e su materie prime locali, spesso umili. Ogni prodotto e ogni ricetta hanno storie e tradizioni antiche, frutto di quel sapere condiviso, tramandato di generazione in generazione.
Quelle ricette, custodite dalle nostre nonne, sono cura nella scelta delle materie prime, rispetto della stagionalità, attenzione alle preparazioni, spesso esigenti in termini di tempi e ritualità.
Tuttavia oggi la cucina popolare è in crisi, sia a livello familiare, sia nella ristorazione locale.
Presso il grande pubblico non ha lo stesso appeal dell’alta cucina, quella stellata e blasonata dei grandi chef, in voga negli ultimi anni.
Quelle preparazioni semplici legate alla tradizione rurale, rischiano di scomparire con le nostre nonne.
Noi vogliamo essere custodi di questo immenso patrimonio, recuperare e valorizzare la nostra anima più popolare e salvaguardare la memoria.

Quali sono i piatti più rappresentativi?
Sono quelli legati alle ricorrenze, ai momenti e ai riti della vita contadina e della campagna.
Quindi al periodo della mietitura, l’uccisione del maiale, la vendemmia, la raccolta delle olive, e così via. Si tratta di una cucina dove verdure e legumi vanno per la maggiore, per le carni ci sono gli animali da cortile, mentre il maiale garantisce un’importante riserva di carne tutto l’anno con i salumi.
Tra i piatti, per citarne alcuni, pizz e foje, le pallotte cace e ove, il cif e ciaf, le sagne a pezze, il rintrocilo, baccalà e peperoni, il coniglio cotto sotto il coppo (un grosso coperchio concavo di ferro che sfrutta il calore del camino).

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Dare valore e dignità alla cucina popolare frentana e soprattutto ai suoi interpreti che spesso non sono giustamente valorizzati. Si pensa alla loro come una cucina minore.
Quindi è importante mettere insieme gli operatori della ristorazione, gli agriturismi, sensibilizzarli alla tematica e dare loro la possibilità di raccontare questa cucina e il territorio attraverso un’unica narrazione. Con la comunità, possiamo incentivare anche la filiera agricola locale, che è parte integrante della cucina rurale.
Chiaramente valorizzare la cucina popolare è anche l’occasione per attrarre i turisti verso l’entroterra e portarli a scoprire e riscoprire la semplicità dei piatti della memoria contadina.

Avete un “target” di riferimento?
Gli appassionati, gli amanti del cibo e della cucina all’insegna del buono, pulito e giusto. E’ su questa platea che andremo ad implementare una serie di attività.

Quali azioni volete intraprendere? 
Andremo a implementare un’iniziativa articolata in più momenti nel corso dell’anno, in coincidenza dei rituali legati alla vita agricola, come ad esempio il Sant’Antonio, la vendemmia, la raccolta delle olive o in alternativa le quattro stagioni (primavera, estate, autunno, inverno).     
In questi momenti, che si terranno presso i ristoranti e gli agriturismi aderenti alla comunità, sarà promosso un menu dedicato e a prezzo fisso per un periodo di due settimane.
Quindi saranno proposti pranzi e cene a tema con il brand “Cucina popolare frentana” e nel corso di questi eventi saranno raccontati i piatti, la storia, la stagionalità dei prodotti e le proprietà nutrizionali.
Per dare visibilità a questa iniziativa investiremo molto nella comunicazione digitale. Abbiamo già acquistato un dominio per un sito web dove saranno presenti gli agriturismi e i ristoranti del circuito, i menu, un calendario di appuntamenti, ricette, storia e curiosità sulla cucina frentana.
Poi anche i social faranno la loro parte, su tutti Facebook e Instagram per l’implementazione di campagne mirate.
Inoltre non ci piacerebbe rinunciare al vecchio cartaceo, quindi stiamo valutando la possibilità di realizzare un volume, magari da distribuire come inserto con i quotidiani, per raccontare  la cucina popolare frentana, le ricette e segnalare le diverse iniziative.

Quali sfide?
In questa fase sicuramente quella di coinvolgere e mettere insieme più portatori d’interesse sul territorio ovvero ristoranti e agriturismi. Poi riuscire a sensibilizzare il pubblico di riferimento e portare le persone, attraverso l’iniziativa legata alle “stagioni” della cucina popolare, a scoprire a tavola l’entroterra e le sue tradizioni enogastronomiche. E, almeno per questo primo anno, avremo anche la sfida Covid-19. Sappiamo cosa questa pandemia significhi per la ristorazione in generale. Tuttavia, questa potrebbe essere anche un’opportunità per le aree rurali, come quella dell’entroterra chietino, fuori dai circuiti turistici e dalle presenze della “massa”.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
Il promotore del progetto è Slow Food Lanciano e attualmente aderiscono alla comunità l’agriturismo Caniloro, l’azienda agrituristica Travaglini, l’agriturismo Grappolo d’Oro, l’agriturismo Za’ Culetta, l’agriturismo la Brocca, e il ristorante Cuore Rosso.

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?  
In questa fase stiamo cercando di coinvolgere nella comunità i ristoranti e gli agriturismi presenti sul territorio. È un momento di confronto, dopodiché andremo a implementare un piano di lavoro. Sarà necessario darsi una sorta di “disciplinare” interno, una Carta dei Custodi della Cucina Popolare Frentana alla quale dovranno aderire gli operatori del settore. E’ fondamentale in termini di tracciabilità dei prodotti, preparazione dei piatti della tradizione e dotazioni di cucina.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente?
Il primo anno sarà un test, saremo condizionati sicuramente anche da questo clima di incertezza legato al Covid-19. Non ci aspettiamo che il progetto decolli subito, ci vorrà sicuramente più di un’edizione dedicata ai menu della cucina frentana per avere i primi numeri significativi in termini di presenze e partecipazione. Tuttavia speriamo di partire quanto prima con sito e campagne social, quindi cominciare a sensibilizzare il pubblico di riferimento, a far conoscere la cucina popolare frentana e a far capire anche ai ristoratori l’importanza di questa iniziativa, la necessità di lavorare insieme e perseguire un’azione strategica comune.

L’articolo “Cucina Popolare Frentana, quali sfide? Intervista a Raffaele Cavallo” è tratto dal sito della Comunità di Progetto Cucina Popolare Frentana.

[Crediti | Foto della Comunità di Progetto Cucina Popolare Frentana]

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Medio Vastese ha l’obiettivo di creare un sistema unico di fruizione, gestione, promozione e accoglienza turistica dei territori del Medio Vastese.  
La Comunità si propone di raggiungere questo risultato mettendo a sistema tutti gli attrattori (naturalistici, culturali, enogastronomici, tradizionali) presenti sul territorio, sia da un punto di vista logistico che promozionale, attraverso il  coinvolgimento delle realtà locali e di tutti i portatori d’interesse coerenti con le finalità del progetto.

Abbiamo intervistato Alessio Massari, uno dei promotori e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto Medio Vastese.

Alessio Massari

Conosciamo Alessio Massari, referente e coordinatore del progetto.
Guida ambientale escursionistica, vicepresidente dell’Associazione Itinerari d’Abruzzo e docente presso un ente di formazione, si occupa, per lavoro e per passione, di sviluppo territoriale.
Dopo gli studi a Bologna e una laurea in Scienze Naturali, rientra in Abruzzo e consegue la magistrale in Scienze Ambientali all’Aquila e poi un master sullo sviluppo dei territori a vocazione naturale presso l’Università di Teramo. È stato il direttore del Giardino Botanico di San Salvo e membro di un gruppo di lavoro sulle riserve naturali.

Negli ultimi anni ha preso parte a diversi progetti sull’escursionismo e i cammini, tra questi Valle del Treste e il Cammino di San Tommaso.

Come e perché nasce il progetto?
L’idea nasce con Emanuele Berardi (Assessore del Comune di Tufillo) e prende spunto da un altro progetto, quello della Valle del Treste, 46 chilometri di sentieri immersi nella natura. Confrontandoci è venuta fuori l’esigenza di mettere insieme più realtà e Comuni del Medio Vastese per implementare un’azione comune, un progetto di sviluppo territoriale collettivo ovvero un unico sistema di gestione per valorizzare l’area d’interesse e puntare su un turismo esperienziale -“itinerante” attraverso la mobilità lenta dei cammini, con sentieri e percorsi ciclabili.

Qual è il territorio di riferimento e quali sono le sue attrattive?
Quello del Medio Vastese, un’area collinare e montana attraversata dai fiumi Trigno, Treste e Sinello, contraddistinta da un elevato appeal naturalistico con quattro siti di interesse comunitario e 13 borghi. Un territorio che vanta attrattive diffuse che vanno dalla piccola chiesa rurale al castello, dal museo ai sentieri, dall’enogastronomia al folklore.
Attrattive che prese singolarmente potrebbero sembrare poco appetibili, mentre insieme possono generare un valore significativo per il territorio e contribuire alla creazione di un’offerta turistica di natura itinerante.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Il primo obiettivo è creare consapevolezza delle nostre attrattive a livello locale.
Quindi “educare” e sensibilizzare chi vive sul territorio. Possiamo farlo attraverso la creazione di una brochure o una piccola guida che finisca sotto gli occhi del cittadino, che illustri quello che stiamo facendo, che coinvolga e renda partecipe la collettività e inneschi, insieme ad altre azioni, una sorta di “consapevolezza territoriale”.
Tra gli altri obiettivi anche l’implementazione di un’accoglienza diffusa e integrata in quelle che sono le aree d’interesse cercando di “direzionare” le persone verso alcuni punti strategici e non a caso sul territorio. Quindi è necessario individuare un’unica regia, un gruppo che gestisca la progettazione di questo sistema e dia indicazioni alla politica locale.

Qual è il turismo di riferimento?
Un turismo esperienziale, lento e sostenibile. Nel nostro target ci sono gli stranieri che solitamente  amano acquistare vecchi ruderi e ristrutturarli in aree periferiche e rurali, il turista settentrionale che vive nelle grandi città, che vuole staccare dalla routine ed è alla ricerca di ritmi più lenti e di un contatto privilegiato con la natura, e infine il terzo target è rappresentato dagli amanti dell’outdoor e dell’escursionismo in quanto sul territorio c’è un’urbanizzazione molto bassa con aree SIC e sentieri che si prestano al trekking e alla mountain bike.
Chi arriverà potrà fruire anche delle esperienze connesse alla vacanza attiva, esperienze che andremo a “costruire” lungo l’itinerario.

Quali sfide?
La più grande è sicuramente quella di implementare un unico sistema di gestione che aggreghi più attori e portatori d’interesse sul territorio, con un’unica regia che coordini il progetto.§
È necessario creare consapevolezza tra i diversi attori, sensibilizzare, ma anche “educare” a un’accoglienza turistica ed esperienziale.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
Al momento abbiamo coinvolto 13 comuni del Medio Vastese (Cupello ,Lentella, Furci, Fresagrandinaria, Dogliola, Tufillo, Palmoli, San Buono, Liscia, Gissi, Guilmi, Carpineto Sinello e Casalanguida), associazioni come quella di Itinerari d’Abruzzo e il Centro Studi Alto Vastese ed è prevista l’adesione di altri portatori d’interesse come attività ricettive, associazioni pro loco dei singoli comuni, realtà che potrebbero fornire attività esperienziali per i turisti.

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?
Stiamo lavorando sul coinvolgimento dei portatori d’interesse presenti sul territorio, implementando una strategia e cercando una sede fisica per il Centro Studi così da creare un punto di raccolta, che sia un centro di sperimentazione turistica oltre che di documentazione naturalistica e culturale.
Subito dopo questa prima fase cominceremo ad occuparci dell’aspetto escursionistico e a verificare lo stato dei sentieri che sono già esistenti, ma devono essere potenziati nella prospettiva di un’unica rete sentieristica.
Da questa ne verrà fuori una mappa del territorio con una mini guida alle esperienze e alle attrattive locali. Quindi partendo dagli itinerari andremo a sviluppare il resto e a realizzare un sistema di punti di informazione e accoglienza turistica, ad implementare le esperienze fruibili e così via.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente sul territorio?
Rendere fruibili i sentieri quindi avere un’infrastruttura completa con segnaletica, pannelli informativi, mappa e tracce Gps, eventuali aree di sosta, parcheggi, fontane.
La speranza è che tra un anno ci sia un coordinamento turistico del Medio Vastese e una maggiore consapevolezza del territorio e delle sue attrattive anche per i suoi residenti.
Riguardo le presenze avremo sicuramente un turismo circostanziale, di prossimità, anche a causa del Covid-19. Si tratta di un territorio che attualmente non è comunque in grado di gestire “la massa”, in quanto non pronto. Tuttavia mi aspetto che con una maggiore consapevolezza territoriale, l’implementazione di un’unica strategia di sistema, la partecipazione a fiere di settore, la collaborazione con agenzie e tour operator e soprattutto attraverso la comunicazione digitale, da qui a 5 anni il sistema sia ben collaudato e si possa cominciare a parlare di presenze significative sul territorio e di turismo nel Medio Vastese.

L’articolo Medio Vastese, quali sfide? Intervista ad Alessio Massari è tratto dal sito della Comunità di Progetto Medio Vastese.

[Crediti | Foto di Medio Vastese]

A causa dei provvedimenti nazionali adottati per l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del
Coronavirus COVID-19 che hanno generato oggettive difficoltà operative, comunico che la prima data di scadenza per la presentazione online dei progetti integrati delle CP, originariamente prevista per il 15 maggio 2020, viene prorogata al 22 maggio 2020.

Casoli, 12 maggio 2020

il RUP

dr.ssa Sandra Di Loreto

La Strategia di Sviluppo Locale del GAL Maiella Verde è incardinata sull’approccio collettivo e collaborativo basato su progetti di cooperazione fra attori riuniti in una formula definita “COMUNITÀ DI PROGETTO.

La Comunità di Progetto Rocciapolitana d’Abruzzo si è costituita a Villa Santa Maria lo scorso 8 febbraio.
La Rocciapolitana è una “metropolitana di superficie”, da percorrere a piedi, che si sviluppa su un itinerario ad anello di 135 km e che collega ben 17 Comuni del Sangro Aventino.
Tutto il percorso è immerso in uno scenario unico, contraddistinto da rocce, morge o pizzi, borghi medievali e castelli.

Abbiamo intervistato Roberto Colella, il promotore e referente della comunità, per conoscere meglio il progetto Rocciapolitana.

Roberto Colella

Conosciamo Roberto Colella, il referente della Comunità di Progetto Rocciapolitana d’Abruzzo
Giornalista di politica estera, docente ed esperto di turismo, dopo gli studi in scienze politiche a Roma e aver girato il mondo per lavoro e diletto, qualche anno fa decide di rientrare nella sua città natale, Campobasso, per insegnare e occuparsi di valorizzazione del territorio e turismo collaborando con enti locali e tour operator.
È stato il promotore del Parco delle Morge in Molise, ha fondato “borghi di lettura”, un network culturale nazionale, e due anni fa ha dato vita al progetto della Rocciapolitana d’Abruzzo.

Come e perché nasce il progetto?
Io vengo dall’esperienza del Parco delle Morge in Molise, un’iniziativa nata nel 2014 per valorizzare queste imponenti formazioni di pietra (le morge), un progetto che ha messo insieme 11 diversi comuni.
Con la Rocciapolitana, un paio di anni fa, ho pensato di replicare quello che avevo fatto con il Parco in un territorio “di prossimità” simile, ma in Abruzzo.
L’area di Pietraferrazzana, Villa Santa Maria, Pizzoferrato è contraddistinta da un paesaggio dominato dalla roccia, dai pizzi.
Così ho contattato i sindaci di riferimento, esposto la mia idea di fare “sistema”, mettere insieme più Comuni, coinvolgere anche associazioni locali e creare una sorta di metropolitana di superficie, un vero e proprio cammino per unire queste morge.
La proposta è piaciuta, così abbiamo “costruito” questo itinerario di 135 km che collega 17 Comuni del Sangro Aventino.

Qual è il territorio di riferimento e quali sono le sue attrattive?
Il territorio è quello del Sangro Aventino in provincia di Chieti, contraddistinto da imponenti geositi presenti soprattutto a ridosso del Lago di Bomba. Un’area che coincide con i comuni di Villa Santa Maria, Montebello sul Sangro, Fallo, Montelapiano, Monteferrante, Pietraferrazzana, Colledimezzo, Bomba, Civitaluparella, Gessopalena, Roccascalegna, Torricella Peligna, Montenerodomo, Pennadomo, Pizzoferrato, Quadri e Gamberale.
Tutto il percorso è immerso in uno scenario unico. Insieme all’attrattiva naturale, che per la singolarità geologica e il valore paesaggistico costituisce un patrimonio di notevole rilevanza scientifica e didattica, c’è anche quella dei borghi, dei castelli, quella culturale, enogastronomica.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
Rendere turisticamente appetibile e fruibile uno dei territori, a mio parere, tra i più belli in Abruzzo. Quest’area di confine è rimasta marginale e fuori dai circuiti turistici per troppo tempo, merita di essere conosciuta perché paesaggisticamente è davvero unica.

Qual è il turismo di riferimento?
Quello della mobilità lenta e sostenibile, della natura e dell’outdoor, in particolare dei cammini, ma anche dell’arrampicata. Le rocce che caratterizzano questo paesaggio si prestano molto bene al climbing.

Quali sfide?
Riuscire a creare un circuito turistico che possa garantire flussi tutto l’anno, incrementare le presenze nell’area di riferimento e in tutta la Val di Sangro. Questo significa anche sostenere l’occupazione, incentivare l’economia locale e quindi evitare o comunque ridurre lo spopolamento.

Come vi siete organizzati? Chi aderisce alla Comunità di Progetto?
Alla comunità di progetto hanno aderito 17 comuni (Villa Santa Maria, Montebello sul Sangro, Fallo, Montelapiano, Monteferrante, Pietraferrazzana, Colledimezzo, Bomba, Civitaluparella, Gessopalena, Roccascalegna, Torricella Peligna, Montenerodomo, Pennadomo, Pizzoferrato, Quadri e Gamberale), associazioni come la Pro Loco, guide turistiche, diverse imprese turistiche locali (Hotel, B&b e agriturismi).

Operativamente? Quali azioni concrete state implementando?
Ad oggi abbiamo tracciato il percorso, suddiviso in 8 tappe, realizzato una cartografia, fatto un’attività di georeferenziazione e creato le tracce Gps. Inoltre abbiamo dato vita a iniziative di carattere locale attraverso l’implementazione di piccoli circuiti con brevi passeggiate all’interno del tracciato, per far conoscere la Rocciapolitana anche a chi vive sul territorio, quindi sensibilizzare i residenti, perché in fondo sono proprio loro i primi turisti.
In questa fase stiamo cercando di pianificare le attività, abbiamo preso i primi accordi con tour operator e agenzie, stiamo sviluppando possibili pacchetti turistici, ma non solo. Il target giovane, ad esempio, più che il pacchetto preconfezionato vuole “tools” e servizi, e quindi poi organizzare la vacanza di conseguenza. Pertanto è fondamentale in questa fase garantire quanti più servizi possibili sul territorio.
Tra le altre azioni intraprese, recentemente è stato siglato un protocollo d’intesa con Cammini e Benessere – Nordic Walking Sud, un’associazione che proprio lo scorso marzo aveva organizzato un’escursione lungo la Rocciapolitana d’Abruzzo, iniziativa poi annullata a causa del Covid-19.

Quali risultati volete raggiungere da qui a un anno? E come si potranno “visualizzare” concretamente sul territorio?
Sicuramente incrementare le presenze turistiche nell’area di riferimento ma anche e soprattutto sviluppare un’economia locale, impiegare quante più persone nel settore. Ovviamente ci saranno dei condizionamenti a causa del Covid-19, e da qui a un anno avremo probabilmente un turismo di “prossimità”. Tuttavia è anche vero che il turismo lento nelle aree periferiche dell’entroterra o comunque fuori dai più blasonati circuiti turistici, potrebbe avere una chance in più ai tempi del Covid-19.

L’articolo Rocciapolitana, quali sfide? Intervista a Roberto Colella è tratto dal sito della Comunità di Progetto Rocciapolitana d’Abruzzo.

 

[Crediti | Foto di Rocciapolitana d’Abruzzo]